Toc, toc! Io sono ancora qua!

Eccomi!!
Su richiesta, ( 😛 )vi aggiorno un po’!

Innanzitutto, ormai non scrivo più da laureanda, ma ufficialmente da Dottoressa. Ahaha, che ridere! Come dice mio zio ogni volta: “Vu, dottò, io c’ho ‘n male al ginocchio, che me la dareste un’occhiata?”. Dottoressa, di che, poi, devo ancora capirlo. Ma ufficialmente lo sono, quindi bando alle ciance.

Non ho più scritto dall’ultimo post di più di un mese fa, non perché non avevo nulla da dire, ma bo, perché non ho avuto voglia di pubblicare quello che avevo scritto. Perché, sì, ho scritto, tutto salvato nella cartella più segreta del Pc, ma ho scritto tutto, o quasi, il resto è ben conservato nella testa.

Parto dal fondo, se avete pregato per i miei piedi, non ce n’è stato bisogno, le mie care amiche mi hanno mascherato da Donna Tirolese con vestitino e ballerine annesse, quindi piedi doloranti chi li ha sentiti?
Prima di questa bella immagine di me, con il boccale in mano, e le tette di fuori, non è che ci sia molto da raccontare.
Sono arrivata a Verona il giorno precedente la proclamazione, con tanta, tanta, pioggia che scendeva e ovviamente ho pensato, sperato, supplicato che il giorno dopo non fosse la stessa cosa. La notte l’ho passata insonne, ma non di certo per l’agitazione! In fondo è stata solo una proclamazione, la discussione, lo sapete bene, l’ho affrontata un po’ di giorni prima! Non ho dormito per colpa di mio padre, che russa, e mio fratello che scalcia. Ho cambiato due letti, e ho provato a dormire con ognuno dei due, ma con scarsi risultati!
La mattina di venerdì non ero agitata, ho aspettato la mia amica che venisse a truccarmi, mi sono vestita, e mi sono recata all’Università. Ah, sì, non pioveva. Il cielo era azzurro e il sole splendeva..ma il freddo si faceva sentire un sacco! Durante l’attesa, le mie amiche complottavano, e io ero più agitata per quello che avrebbero potuto prepararmi che per altro. Ero l’ultima della decina delle 10.30. Mi chiamano. Vado davanti ai professori, con le mani congiunte dietro la schiena, tipo sull’attenti (Ma non sapevo in che posa mettermi) e ascolta soddisfatta e orgogliosa la presidentessa che ripeteva tutta la manfrina, per arrivare ad annunciare il voto finale di 110/110 con l’aggiunta della lode. Strette di mano, foto di rito, mia mamma e mio fratello nel frattempo scomparsi, ci rechiamo in giardino, ritrovo i familiare disperi metto la corona, e altre foto.  Arriva il primo regalo: un tenero video fatto dai miei amici conosciuti in Erasmus, mi sono emozionata, ma più di tutto, ero felice e grata per avere amici così, che mi dimostravano il loro affetto in tutte le lingue (un sogno ricorrente che faccio, quello di ricevere auguri in tutte le lingue del mondo!). Mi sequestrano, e mi vestono come vi ho descritto prima.
L’hanno pensata proprio bene, e io non ho carpito neanche un piccolo indizio. Il tradizionale papiro, la caricatura, le figuracce, le foto con sconosciuti, sì tutto progettato ad hoc. Ero contenta, imbarazzata di fronte ai miei, ma soddisfatta. Praticamente è stata la giornata perfetta, quel tipo di giornate che non immagini neanche possano andare meglio di così, quel tipo di giornate che, quando le racconti, le racconti con orgoglio e contentezza, perché sei fiera di esserne stata la protagonista. È stato uno sprazzo di sole, una giornata senza pensieri, veramente. Non so come, ma me la sono goduta appieno.

Da quel giorno la mia vita si è trasformata in routine. Una routine pigra, direi. Ma ho una novità. Ad Aprile andrò in Irlanda per tre mesi. Nel frattempo mi sono data al découpage e scrivo, ma per me. Non penso pubblicherò mai quelle parole che sto scrivendo, non ho bisogno che qualcuno le legga. Le scrivo su un foglio giusto perché nella mia mente è apparso il cartello No Vacancy. E bisogna liberarla di una po’ di pensieri.

In ogni caso lascio il blog aperto. Ogni tanto potrei aver voglio di tornare e di buttare giù qualche riga e di passare a salutarvi!
Per adesso vi saluto.
Dalla Dottoressa Laura (Kaylali lasciamolo al passato)

Un abbraccio

Stay free.

Bah.

È fatta. Lunedì 4 novembre alle 15 ho ufficialmente terminato la discussione della tesi triennale in Lingue e culture per il Turismo e il commercio internazionale.

È andata bene, benissimo, oltre ogni più rosea aspettativa. Ero molto agitata, prima di entrare. Non avevo ancora realizzato il passo importante che mi accingevo a fare, fino a che la mia relatrice non è uscita dal suo ufficio e ha pronunciato: “Bene, noi siamo pronte ad iniziare”
Tutta la settimana passata non ho badato molto alla discussione, perché sono stata sempre a letto, malata. Quei pochi momenti di lucidità (che combaciavano con sudate enormi, grazie alla tachipirina che faceva il suo effetto) li ho passati a ripetere, sotto voce, quasi tra me e me, l’ipotetico discorso e il riassunto della mia tesi. Controllavo i minuti dalla radiosveglia, e mi accorgevo che ogni volta il riassunto era diverso dalla volta precedente, e ogni volta omettevo qualcosa di importante.
Per questo ero agitata quando sono arrivata a lunedì. Stavo ancora male, per di più, così tanto che una mia amica ha notato il mio colore biancastro tendente al verde e mi ha rassicurato che la discussione non è un gran che di cui preoccuparsi. Tutti mi dicono che forse il virus che ho avuto non è un vero e proprio virus, ma più un insieme di sintomi che sono nati dall’ansia e dallo stress per la discussione. Beh, se così fosse, prego affinché possa imparare ad esternare l’ansia, invece che assorbirla e doverla combattere al bagno….scusate la franchezza.

In ogni caso, la discussione è stata più come una chiacchierata con la relatrice e la correlatrice. È durata poco, a parer mio, forse 10 minuti. Ho parlato, ma per di più ho interagito con le prof che facevano domande e/o osservazioni. In un’occasione la mia relatrice (che ho insultato molto in questo blog) mi è venuta in soccorso, e mentre ripetevo alcune cose mi sorrideva o faceva l’occhiolino (forse il momento in cui mi sono sentita più apprezzata e dove il mio lavoro è stato più riconosciuto!). Mi hanno fatta uscire e hanno deciso il voto: 5/5, che sommato al 108 di partenza, dà 113 come punteggio finale.

Sono contenta di questo voto, ma sembro essere l’unica. Sì, ok, i complimenti e congratulazioni di turno sono ben accetti, ma bo, non so. Neanche i miei genitori hanno fatto i salti di gioia, quando gliel’ho riferito. E, anzi, quando ho sottolineato che avrei preferito un “brava” di persona a un “brava” al telefono, mi hanno detto: “scusa se non abbiamo preparato le fanfare. Quanto vuoi essere lodata, figlia mia..”.
Bah, no, non voglio essere lodata. Mi sono laureata con 110 e lode all’Università, rientrando nei tre anni.

So che per loro è una cosa normale, dato che li ho abituati bene in questi anni, con i miei voti, ma vorrei , per una volta, una sola, un brava sincero, e non uno di circostanza.

Ma forse chiedo troppo.

Comunque, non ho potuto neanche festeggiare perché lunedì ero ancora mezza malata, e non festeggerò se non il giorno della proclamazione.

Sto pensando che il mio status di laureanda è ormai agli sgoccioli. Che cosa ne sarà di questo blog?

Ultimamente non ho niente di certo, e quando dico niente, intendo niente. Non mi dilungo su cosa e chi mi sono crollati inesorabilmente, ma sono crollati e, sinceramente, mi sono stancata di essere sempre quella che raccoglie i pezzi e prova a riattaccarli. Prima o poi i pezzi non si riattaccano, se continuano ad essere inzuppati nell’attak. E poi la minestra riscaldata non piace a nessuno.

Vabbè..sto divagando.

Tutto questo per dirvi che mi manca solo la proclamazione per essere laureata!

Bah.

Stay free

Kaylali

Ah, Ps. vorrei un mp3. Perché se la musica è l’unica cosa che riesce a farmi uscire da me, ogni tanto, non posso neanche ascoltarla come si deve. Non ho un mp3, né delle cuffie. Chi legge e magari pensa a un regalo per la mia laurea, mai cosa potrebbe essermi più gradita. A buon intenditor, poche parole

pfffffffffffffff…stufa.

Devo scrivere e sfogarmi un po’, altrimenti scoppio.

Non è possibile che ogni volta che programmo qualcosa, questa puntualmente va a rotoli. Ma non è che va a rotoli e rimane lì com’è. Se fosse così sarebbe un lusso, la cosa non va in porto, a me crea un po’ di scompiglio ma tutto si risolve pacificamente. No. Ovviamente, no.

Se la cosa va a rotoli, rotolando si trascina con sé mille altri problemi e situazioni che io, personalmente, è una vita intera che cerco di evitare. E quindi ci sono io che devo giustificare le mie scelte, rifiutare offerte solo perché mi sento di disturbare e di troppo, dover scrivere papiri o parlare ore e ore per cercare di giustificare ogni cosa che penso o faccio. Rotolando si trascina anche persone che io non voglio proprio vengano travolte dai miei problemi.

Sono stufa. L’anno scorso è successo per un viaggio, quest’anno sembra dover succedere la stessa cosa.

Il bello è che la colpa, obiettivamente, non è di nessuno, né degli altri, né tantomeno la mia.

Però, quello che sarebbe dovuto essere un periodo di relax, si sta trasformando in un periodo di crucci. Ho mille cose a cui pensare, mille cose a cui stare dietro, domande, dubbi, risposte. E che cavolo, non ne ho voglia. Seriamente, non ho voglia di starci dietro. Sono proprio stanca e non ho più le energie.

Vorrei che le cose che accadono, mi trapassino e io, per forza di inerzia, venga leggermente scossa e poco più.

Non ho voglia ogni volta di dover coinvolgere mezzo mondo nei miei problemi, perché sembrano insormontabili.E soprattutto non ho voglia di coinvolgere i miei. Ieri sera mio padre mi ha detto: “Ma perché devi essere sempre la figlia che crea problemi e difficoltà? Proprio non ci riesci a non farmi stare in pensiero e a rendere le cose facili?”.

Ecco, questa cosa mi ha distrutto. Io, che non mi sono mai ritenuta una scavezzacollo, sono un problema per mio padre.

Ehi, io non ho mai voluto arrivare a questo punto. Mai. E finché sono in tempo, mi tiro indietro. Quindi ciao bella, ci rivediamo un’altra volta. Se è così complicato dover venire a trovarti, me ne resto a casa.

Mia cara tesi, a noi due. Mi hai già talmente rotto i cosiddetti, che in una settimana spero di mettermi giù e finire tutto, da quanto sono esausta. Non potrà succedere, perché la relatrice vorrà leggere il secondo capitolo, ma cercherò comunque di finirla in poco tempo.

Mia cara cosa di cui non posso parlare ma che stai travolgendo la mia famiglia. Ascolta, dovevi nascere come cosa piacevole, leggera, che non avrebbe causato problemi. Stai crescendo a dismisura, causando liti, problemi, anche grossi, e preoccupazioni. O arresti la tua crescita, o ti tronco alla base.

Mia cara testa. O la smetti di svegliarmi nel bel mezzo della notte con delle botte assurdi da urlare di dolore, e di rendermi incapace di qualsiasi movimento durante la giornata, o ti faccio tacere a forza di pastiglie antidolorifiche.

Fiù. L’ho sempre pensato. Fortuna il mio blog, ma sfortunati voi che leggete.

Magari vi siete fermati alla prima riga.

Ma devo dirlo, non sono in crisi. Ci sono stati dei periodi peggiori. Sono solo stufa, che è peggio di stanca. E a una persona stufa non le si può chiedere di impegnarsi in tante cose.

Stay free

Kaylali

P.S. NON VOGLIO CHE GLI ALTRI SI PREOCCUPINO PER ME. ODIO ESSERE UN PESO.

Se stava mejo quanno se stava peggio!

Buonasera!!
Oggi pomeriggio ho chiamato mia zia a casa, essendo sicurissima di trovarla, dato che da poco è in pensione. Invece, sorpresa! L’hanno richiamata a lavorare per imparare il mestiere a una che la sostituirà ben presto. Non solo la ragazza si lamenta di continuo, ma zia mi ha anche raccontato che si rifiuta categoricamente di fare alcuni compiti perché a lei: “l’odore del mastice dà fastidio”. Ora, hai fatto domanda d’assunzione in una fabbrica di scarpe, cosa pensavi di respirare? L’odore della crema pasticcera della torte?
Mia zia ha preso tutto con filosofia, proprio perché tanto a lei non importa, ma a me questa cosa ha fatto pensare molto.

Ogni telegiornale che guardiamo ultimamente dà notizie di giovani che non lavorano, giovani disoccupati, giovani che sono laureati ma lavorano in un posto per cui non hanno studiato, addirittura giovani laureati che però non cercano lavoro.

Spero di no, ma in quell’elenco potrei finirci anche io tra breve. E la cosa mi avvilisce, e non poco. Mi secca pensare che per trovare lavoro, o un lavoro decente, debba recarmi all’estero e non poter contare sulla mia nazione che mi dia appoggio.

Però penso anche che in Italia ci sono le possibilità di lavorare, il problema è che noi giovani siamo diventati (o lo siamo sempre stati?!) un po’ comodi, come si dice dalle mie parti.

Il lavoro lo vogliamo sotto casa, le proposte devono arrivarci per posta o per telefono, ancora meglio. La paga deve essere alta, e le ferie devono essere molte. Non bisogna stancarsi e se una cosa non la si sa fare, si alzano le mani.

Sì, insomma, siamo un po’ viziati.

E quindi penso ai miei nonni. Che a 6-7 anni sono andati nei campi, senza che nessuno insegnasse loro nulla, andavano ad arare, a zappare, a raccogliere il grano, a portare il trattore, a seminare, a portare a pascolo i buoi. Si svegliavano alle 4 della mattina. Lavoravano con il sole, la pioggia, il vento, la neve, la nebbia, l’umidità, l’afa. La paga non c’era. Quello che mangiavano lo producevano, e se andava bene riuscivano a rivenderlo.

Eppure non si lamentavano, come invece, ahimè, facciamo oggi. Erano felici, e gioivano con poco. Il pranzo della domenica era una vera festa. Sì, insomma si accontentavano di poco.

Noi oggi invece cosa facciamo? Aspettiamo che l’occasione arrivi da noi. Non smuoviamo il culetto, perdonatemi l’espressione. E se ci fosse l’occasione di lavorare, ci lamentiamo pure, perché tanto qualcosa che non va c’è sempre.

Ammiro i ragazzi e le ragazze che sono andati a lavorare la terra, che stanno imparando il mestiere dell’artigiano, del muratore, della sarta, del pizzaiolo. Sicuramente la paga non è quella di un avvocato. Sicuramente avranno le mani sporche, con i calli e sempre con la puzza di calce, di farina, di legno. Sicuramente lavoreranno tutti i giorni dell’anno, e quando gli altri saranno in vacanza, loro lavoreranno.

Ma almeno grazie a loro, una piccola percentuale di giovani che, per carità non farà nessuna notizia in nessun tg nazionale, l’Italia potrà andare avanti.
E magari arrivare ad apprezzare il lavoro che uno fa. E la vita che uno conduce. Anche se invece di prendere la macchina da 17.000€ che ci porta fino all’ufficio, dovessimo prendere un bus, con il signore vicino che quella mattina si sarà dimenticato di farsi la doccia.

Stay free

Kaylali

“Tornerò con un leone. Voglio impagliarlo e regalarlo a Bartali.” Fausto Coppi

Ciao a tutti!
Anche se ufficialmente il 26 maggio è già passato (sono le 00.10), vi voglio parlare di quello che è successo oggi a Brescia.
La festa per il Giro d’Italia. Per la corsa ciclistica che accarezza ogni luogo d’Italia durante gli anni, emozionando ed emozionandomi ogni anno di più.
La passione per questo sport me l’ha trasmessa mia mamma che, appassionata di viaggi e turismo qual’è, guardava il giro quasi esclusivamente per godersi lo spettacolo (veramente emozionante) dei paesaggi che scorrevano veloci dietro i corridori.
Un po’ passivamente, ho iniziato anche io a guardarlo con quest’ottica.
Due anni fa, invece, ho scoperto nella mia coinquilina una vera e propria appassionata (autentica, però) che mi ha avvicinato ancora di più a questo sport e addirittura mi ha accompagnato l’anno scorso a vederlo dal vivo a Verona.
Che emozione indescrivibile!
La stessa che avranno vissuto oggi (moltiplicata all’ennesima potenza!) a Brescia.
Un’emozione che non si descrive e forse è difficile da capire per chi non conosce questo sport.
Seguire tutte le tappe significa soffrire con i corridori, affezionarsi ad alcuni e “odiarne” altri,  ammirare come degli uomini magrissimi (non hanno un filo di grasso corporeo, tanti muscoli, ma ciononostante magrissimi, a vederli dal vivo fanno paura) riescano a stare complessivamente 80 ore in bicicletta, percorrere 3.000 km e passa e addirittura quest’anno, anche pedalare kilometri e kilometri con la pioggia, a volte la neve battente a 80km/h che ti taglia la faccia e ciliegina sulla torta, anche il gelo.
Ammiro tutti loro.
Per patriottismo, e perché l’ho incrociato tantissime volte mentre ero in macchina, ho un debole per il mio corregionale Michele Scarponi. Lui ha sofferto veramente il freddo, aveva le mani gelate o brinate, come lui stesso ha detto e si è riscaldato appoggiandole al collo del massaggiatore.
E poi ci sono quelle scalate che portano in cima alle montagne più belle d’Italia, che sembra quasi si arrivi a toccare il cielo. Si ricordano i grandi del passato, Coppi, Bartali e Pantani.
E..beh, avete capito, amo questo sport.

La cosa che mi fa veramente incavolare (autocensura) è il fatto che se ne parli ESCLUSIVAMENTE quando succede qualcosa di brutto. Scommetto che tutti avrete sentito del Giro solo venerdì scorso, quando si è scoperto che Di Luca è un dopato (non commenterò su questo, ognuno è padrone della sua vita e delle sue scelte).

Ma nessuno ha parlato del Galibier, di Nibali, di Visconti, di Battaglin…nessuno.
Ma vabbè, siamo in Italia, si parla sempre e solo di calcio.

Due parole su Nibali. GRANDE, GRANDE, GRANDE, GRANDE VINCENZO NIBALI! Ha dominato per tutto il Giro d’Italia, ha onorato l’Italia vincendo il suo Giro e ha mantenuto la sua semplicità.

Che dire? Arrivederci all’anno prossimo, mio Giro. Sperando in un tempo più clemente e, personalmente, spero di potermelo godere di nuovo dal vivo.

P.S. Un altro augurio lo devo fare. Mi auguro che il Giro possa tornare ad essere così, per farlo vivere a chi, come me, tanto tempo fa non era ancora nato.

Immagine

Stay free

Kaylali

P.P.S. Ho riletto il post, lo so, ho ripetuto molte volte emozione e passione, mi dispiace se vi ha causato fastidio durante la lettura, ma non li cambierò. 😉